#ViaggiaLiberaMente presenta :

Qualsiasi avventura, soprattutto se affrontata in solitaria trasmette ad ogni persona qualcosa di speciale, qualcosa di unico e straordinario perché un viaggio non è mai circolare e il fuoco di due viaggiatori non arde mai con la fiamma dell'altro.
Perfino la stessa meta, se vissuta in periodi diversi della nostra esistenza , può regalarci delle sorprese impensabili perché domani non saremo mai quelli di oggi e oggi non siamo mai gli stessi di ieri.
#ViaggiaLiberaMente ha deciso di raccontarvi una terra mistica, un luogo affascinante, un popolo meraviglioso attraverso i passi di due amici che in periodi differenti hanno varcato gli impervi confini del Nepal, per offrirvi due visioni, due facce distinte appartenenti alla stessa medaglia.
Per ragioni di cavalleria , il primo capitolo è dedicato al viaggio di Veronica, il secondo si concentrerà invece su quello di Yari che si è appena concluso.
Quante volte ci è capitato di rinunciare ad un sogno, ad un viaggio, ad un'avventura perché schiacciati dal dovere, dal lavoro e dalle responsabilità?
Veronica ha avuto il coraggio di seguire i segnali, le"coincidenze"e all'improvviso si è ritrovata su un aereo con destinazione Kathmandu, in Nepal.
In questo luogo così remoto, a ridosso delle montagne più alte del mondo, sembra che gli dei scendano sulla terra e si mescolino con i mortali.
In fondo siamo in Nepal, nella terra più vicina al cielo...
"I veri viaggiatori partono
per partire e basta : cuori lievi,
simili a palloncini che solo il caso
muove eternamente,
dicono sempre "Andiamo"
e non sanno perché.
I loro desideri hanno
le forme delle nuvole"
-C.Baudelaire-
Il Nepal 1/2
Vacanza: ferie chieste mesi prima in accordo con responsabili e contatti con la persona con la quale partire, valigie pronte per una destinazione scelta già da tempo. Hotel prenotati!
………
No signori, non è andata proprio così…
Diciamo che il giorno in cui ho preso coscienza del fatto che avevo “tutto” dalla vita: una macchina, un lavoro invidiato, uno stipendio fisso, un contratto a tempo indeterminato, qualche spiccio in banca, invece di sentirmi soddisfatta e tranquilla è cresciuta in me una forte ansia e perdizione nel mio spirito.
Mi mancava l’essenziale: la libertà. La libertà da tutto ciò. Da tutto ciò che era sicuro, ripetitivo, immobile, già scritto.
Mi mancava l’essenziale: la libertà. La libertà da tutto ciò. Da tutto ciò che era sicuro, ripetitivo, immobile, già scritto.
Così ho cominciato a seguire i segnali del Cosmo. Per caso sono finita ad Aosta, per caso sono entrata in un cafè-librairie, per caso ho incontrato Fabio l’antropologo e per caso ho conosciuto il Nepal. Seguivo semplicemente lo svolgersi degli eventi senza chiedermi il perché, senza prendere grandi decisioni. Da sempre avrei voluto fare volontariato in India e Fabio aveva un’associazione per aiutare i bambini di Kathmandu (il Nepal mi sembrava così simile all’India..).
“Posso venire con te la prossima volta?”
Due mesi dopo ero su un aereo, con dei perfetti sconosciuti, con destinazione un Paese che non avevo mai considerato nella mia vita. Ero sola con il mio zaino.
L’alloggio
Una jeep malridotta guidata da un omino basso e magro che non sapeva una parola d’inglese (ma sapere la parola “namaste” ti salva sempre in Nepal) conduceva verso un largo edificio a due piani con il tetto piatto.
Era al centro di una grande vallata verde di campi di riso circondata dalle montagne che facevano ombra in base alla posizione del sole. Non un negozio, non una persona per strada, niente.. o tutto…
Al cancello, l’uomo mi fa cenno di scendere. Vengo accolta da una signora che mi saluta con un “namaste”. La seguo lungo un corridoio che dava l’impressione di un ospedale e la donna apre la porta della mia stanza: enorme, vuota, fredda e buia.
Stendo la mappa del Nepal a terra, lego un filo dal letto a castello alla finestra per appendere i vestiti lavati, sacco a pelo sotto il piumone, Pirsig mi aspetta con la copertina poggiata sul marmo sporco e impolverato del pavimento, la sedia e il tavolo di plastica sarebbero stati i miei amici notturni per la scrittura del mio diario. Quando c’è la luce la tastiera del mio computer mi aiuta a essere più veloce nel racconto. Durante le altre 8 ore di interruzione della corrente, metto la torcia in testa e scrivo sul diario.
Acqua calda e doccia: inesistenti. Mi arrangio con un secchio e sfrutto certe ore della giornata per trovare un po’ di calore al sole.
La mattina mi svegliano delle urla e dei pianti. Quel lungo corridoio si riempie di bambini che corrono con i libri in mano, si preparano per la scuola. I più piccoli piangono nelle culle. Le panche della mensa sono quasi tutte occupate e mi siedo con loro a mangiare un piatto di riso con verdure, accompagnato da un bicchiere d’acqua bollente (temperatura necessaria per renderla potabile). Quello sarebbe stato il mio pasto quotidiano, per colazione-pranzo-cena per l’intero mese.
Kathmandu
Non ho mai visto una città così contraddittoria. Fa finta di essere occidentale a volte, con negozi di alta moda dal pavimento lucido, ma il marciapiede di fronte è a pezzi. Vicino è parcheggiato un minibus altezza nepalese assalito da quanti passeggeri?… sul serio, non sono mai riuscita a contare le persone che ci entrano. Quando ci ho provato ho dovuto poi aggiungere i tizi seduti sul tetto e quelli letteralmente “appesi” ai lati del mezzo… Ed erano sempre grasse risate quando vedevano “due pelli bianche” salire a bordo. Di questo ne sono sicura.
I templi erano sparsi per la città e uniti dal sincretismo: buddhisti e induisti si riunivano nella stessa piazza, ognuno con le sue preghiere e i suoi riti ma tutti uniti dallo stesso sentimento: il rispetto per l’altro, una convivenza pacifica.
Fabio cammina sicuro per strade conosciute; io lo seguo prendendo appunti sulle sue descrizioni, i commenti, le leggende. Ogni tanto mi spinge perché non mi rendo conto dello stretto spazio da condividere con i motorini e così mi salva da eventuali investimenti. Gli odori si mischiano: spezie, smog, incensi, cera sciolta. Tutto questo crea intorno a me quell’aria che avevo solo immaginato, anni indietro, leggendo “I figli della mezzanotte” di Salman Rushdie.
Le nostre notti accompagnate da un’ Everest beer passano lente e intense sotto il cielo di Kathmandu, quando la corrente va via e la città si nasconde sotto un misterioso buio che accende le stelle. I sadhu fanno i loro riti, le candele lasciano spegnere la loro ultima fioca fiamma.
Fuori da Kathmandu
Affittiamo una jeep con conducente per poche rupie e i viaggi si fanno lunghi e a volte pericolosi. Quella che chiamano autostrada è un pericolosissimo percorso sterrato senza guardrail, senza indicazioni stradali, senza alcun ordine apparente. Il conducente del bus che ci precede ci fa cenno con una mano e il nostro pilota sorpassa in curva, sicuro che dall’altra parte non ci sia nessuno.
Dal palazzo della città di Gorkha, il mattino, si stende un tappeto di nebbia fitta.
Bandipur: è un luogo di meditazione e natura, un piccolo villaggio con pochi abitanti.
Pokhara: l’avventura in parapendio che mi ha resa parte integrante di quello straordinario paesaggio himalayano.
Sarangkot: una collina sul teatro del mondo. L’alba scopre dai primi raggi il profilo himalayano illuminando l’Annapurna, un gruppo di 4 montagne dove vivono i Gurung.
Chitwan: Tharu, un’antico popolo. Ballano in gruppo con dei bastoni che sbattono gli uni con gli altri in una sorta di dolce combattimento che tiene il ritmo. Le donne del villaggio filano la lana.
Invito a nozze
Avevamo incontrato Noah qualche giorno prima in un ristorante. Era semplicemente il cliente accanto al nostro tavolo. Fabio aveva incominciato a intervistare le persone intorno riguardo lo spirito Khyak per la sua ricerca universitaria e in pochi minuti avevamo trasformato quel luogo in una sala conferenze. Raccolte le informazioni utili Noah ci invita al suo matrimonio e così siamo finiti in questo piccolissimo villaggio tra le montagne, Lamatar, a dormire in un sottoscala ubriachi di distillato di riso.
Parlo a gesti con le donne del villaggio che mi conducono in una casetta di fango per la vestizione. Avevano preparato per me un sari color salmone. A braccia aperte e immobile, osservo queste donnine impegnate. Girano intorno a me con un pezzo di stoffa di raso, usano spille, nodi e pieghe. Un attimo dopo la donna più anziana prende il mio viso tra le sue mani ruvide e mi guarda sorridendo, si gira e una ragazza le porge le sue mani unite. La donna prende un po’ di quella polvere rossa con il dito e lo poggia sopra il mio naso, tra le sopracciglia.
Mi guardo allo specchio e finalmente non sento più quel distacco tra culture, mi sento una di loro, mi sento come loro, l’Occidente e l’Oriente si sono incontrati proprio in quel puntino rosso, all’altezza del terzo occhio, secondo la tradizione buddhista.
Il matrimonio è una cerimonia lunghissima fatta di offerte e riti che sembrano non finire mai. Tutti sorridono tranne la sposa che quello stesso giorno abbandona la propria famiglia per dedicare la sua vita a quella dello sposo. A testa bassa e seria, in segno di rispetto verso l’uomo, segue i vari passaggi della cerimonia e dentro di me provo tristezza e commozione. Voglio andare da lei e chiederle di sorridere, chiederle se in fondo è felice o se quello è il giorno più triste della sua vita.
Ma da occidentale non so mai fino a quanto posso spingermi in là con le parole e i gesti per non sembrare irrispettosa quindi sono rimasta inerme a guardare quella scena. La sera cominciano i festeggiamenti al buio, sotto la luce delle stelle e della luna. Si sente solo la musica di strumenti manufatti in legno e canti tradizionali. I sari svolazzano a ritmo di musica ed è di nuovo colore, odore e suono…
L’incontro con il buddhismo
Era lì, a un quarto d’equatore di distanza da casa mia. Mi aspettava e io non lo sapevo. Dopo una lunga ricerca durata una vita (la mia, fino a quel momento).
Si era presentato con colori, incensi e suoni di campane tibetane. Raccontavano di un uomo che aveva donato al Mondo la conoscenza, che non voleva venerazioni ma chiedeva di sperimentare la sua via, la Via di Mezzo. L’insegnamento del “qui e ora” che da sempre avevo messo in pratica: vivere il momento, godere di ciò che il cosmo ti dona. Sei tu che devi captare, acchiappare e godere dei segnali.
Il viaggio era iniziato così, per caso, per seguire quei segnali e mi aspettavo già di trovarlo: il Buddhismo. Non una moda, non una religione ma l’affermazione di tutti i miei pensieri. Per questo non è stata una scoperta ma un ritrovo.
Sono sempre stata Buddhista ma l’ho capito solamente lì: in Nepal.
We are brothers and sisters from different mothers
Sono partita per fare volontariato e questo appunto descrive il modo in cui ho trascorso la maggior parte dei miei giorni a Kathmandu. La mattina con i neonati, il pomeriggio con i 24 bambini del Children Shelter: Sushmita, Sunita, Sapana, Namita, Gambir, Sagar 1 e Sagar 2, Milan, Nabin, Ritu, Kamal, Jyoti, Bishal, Parwesh, Manju, Hastha, Bikash, Ajit, Prabesh, Rakesh, Youraj, Sudip, Bibek, Sumitra. Ricordo i visi e il carattere di ognuno di loro. Alcuni nomi non mi sono mai entrati in testa, ma le nostre anime si sono unite come radici dello stesso albero per tutti quei giorni passati insieme.
Abbiamo corso a piedi scalzi perché non tutti hanno le scarpe e io ho tolto le mie; abbiamo dipinto con i colori che gli ho portato e dai fogli siamo passati ai nostri visi; li ho aiutati con i compiti; alcuni di loro si sono confidati con me, altri sono stati più timidi; ho visto la loro scuola e le loro recite. Ci siamo scoperti pian piano fino al giorno della mia partenza. Dopo avermi ringraziato per tutto e dopo l’ultimo abbraccio, ho scoperto che in realtà ero io che dovevo ringraziare loro. C’era stato, per tutto quel tempo, un interscambio di anime e pensieri che non avevo mai avuto con nessuno. Andavo via così triste perché loro mi avevano dato tutto, anche se, per una teoria comune, il tutto mi aspettava in Italia.
Il mio obiettivo principale, lontano da loro, è, ancora oggi, quello di diffondere questa storia che vorrei arrivasse a quelle persone superficiali e troppo impegnate a pensare a sé stesse, alle cose, ai soldi, al lavoro, al mutuo, alla moda…
Ho scritto un libro per realizzare il mio obiettivo. E ho scritto un libro anche per poter continuare a sostenere quei bambini, visto che l’intero ricavato è devoluto a loro (tranne 4 euro trattenuti dal sito per la stampa). Ho scritto un libro che sicuramente darà fastidio a coloro che non vogliono sentirsi criticare la vita finta che si sono costruiti ma è disgustoso e soprattutto inutile far finta che non esista la fame, la povertà, l’indecenza della conduzione di alcune vite sfortunate solo perché nate nel posto sbagliato. E sempre di più cresce in me la convinzione che se noi stiamo bene e siamo ricchi e possiamo permetterci vaccini, istruzione, cene e pranzi con una quantità di cibo che superano di gran lunga il nostro fabbisogno, oggetti inutili: è solo perché li stiamo rubando a loro.
Come dice Silvano Agosti: l’Occidente, il nostro quarto di mondo, sta bene solo perché ruba al resto dei ¾ di mondo.
Se vuoi dare il tuo contributo acquista on-line il libro: http://www.lulu.com/shop/veronica-benardinelli/erano-solo-bolle-di-sapone-un-tuffo-in-nepal/paperback/product-21115177.html
Seguimi sulla pagina facebook “Erano solo bolle di sapone. Un tuffo in Nepal” per vedere sviluppare i progetti eseguiti con l’acquisto del libro. Non cambieremo di certo il mondo, ma possiamo rendere migliore, con poco, la vita dei bambini del Children Shelter.
Bellissima storia e commuovente, la forza e l'energia che la viaggiatrice trasmette è forte come la sua voglia di cambiamento. Il suo sarà un piccolo contributo (come una goccia nell oceano) ma è un qualcosa.... che la rende felice
RispondiEliminaGrazie per essere passata da queste parti ! :) Ho sempre pensato che viaggiare "crea delle onde" e ogni goccia è importante ! Sono d'accordo con te ...quella di Veronica è una storia che trasmette molta energia ! Ciao Roberta alla prossima !!!
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